Georges Simenon

Le lacrime di cera

 

Fu uno dei rari casi che avrebbero potuto essere risolti su piante e documenti, per deduzione e seguendo i metodi della Scientifica. D’altronde, quando Maigret lasciò il Quai des Orfèvres, conosceva tutto, comprese le botti.

Si aspettava di fare un breve viaggio nello spazio e fece un viaggio sfibrante nel tempo.

Ad appena cento chilometri da Parigi, a Vitry-aux-Loges, scese da un trenino assurdo come non se ne vedono più che nelle immagini di Epinal, e quando parlò di tassì lo guardarono severamente, credendo che scherzasse. Fu sul punto di fare il resto della strada sul barroccio del fornaio ma, all’ultimo momento, riuscì a convincere il macellaio ad accompagnarlo con il suo camioncino.

- va spesso laggiù?-, domandò il commissario parlando del paesetto in cui lo chiamava la sua inchiesta,

- Due volte alla settimana…Grazie a lei, gli abitanti avranno una razione di carne supplementare...-

Maigret era nato quaranta chilometri più in là, sulle rive della Loire, eppure non si aspettava che la foresta d’Orlèans avesse un aspetto così tragico.

Erano in piena foresta infatti. Il camioncino percorse una decina di chilometri tra alberi di alto fusto prima di raggiungere un paese piantato in mezzo a una radura.

- E’ qui?-

- La frazione dopo…-.

Non pioveva, ma la foresta era umida e il cielo, nella sua crudezza, di un biancore opprimente. Gli alberi avevano perduto quasi tutte le foglie che cominciavano a marcire, mentre qua e là si udivano degli scricchiolii e ogni tanto, lontano, un colpo di fucile.

- C’è molta caccia?-

- Deve esser il signor duca..-

Ed ecco, in una radura più piccola delle precedenti, una trentina di casupole a un piano che si stringevano intorno a una chiesa dal campanile aguzzo. Nessuna di quelle case, certamente, doveva avere meno di un secolo e i tetti scuri ne sottolineavano ancora il carattere arcigno.

- Mi farà scendere di fronte alla casa delle sorelle Potru…-.

- L’avevo indovinato. E’ davanti alla chiesa…-.

Maigret scese mentre il macellaio, un po’ più in là, apriva lo sportello posteriore del camioncino e cercava di attirare qualche donnetta che non si decideva a comprare della carne al di fuori dei giorni consacrati.

Maigret aveva studiato con tale cura la pianta stesa dai primi inquirenti, che avrebbe potuto orientarsi a occhi chiusi nella casa.

E, più o meno, fu appunto quello che dovette fare, tanto erano buie le stanze. Era proprio un viaggio nel tempo quello che il commissario effettuò entrando nella bottega che sembrava sfidare il secolo. La luce vi era distribuita con la stessa parsimonia come nelle tele dei vecchi maestri e i mobili, i muri, avevano lo stesso colore bruno dei quadri antichi, con degli spruzzi, delle macchie grigiastre nel chiaroscuro e all’improvviso un riflesso su un boccale o una pentola di rame.

Da sessantacinque anni, da quando erano nate, le signorine Potru ( la maggiore, almeno, perché la seconda non ne aveva che sessantadue) vivevano in quella casa che, prima di loro, era stata sempre abitata dai genitori.

Da allora niente doveva essere cambiato, né il banco con la bilancia e le scatole di caramelle né le due parti adibite l’una a merceria, l’altra a drogheria, né il quadrato di zinco su cui si serviva da bere.

In un angolo, c’era un barile di petrolio vicino a un altro più piccolo, contenente olio commestibile. In fondo, due tavole, un’altra a sinistra: lunghe tavole, con la patina del tempo, fiancheggiate da sedili senza spalliera.

Una porta si aprì a sinistra. Una donna di trentadue o trentatré anni, che teneva un bambino in braccio, guardò Maigret.

- Che c’è?-.

- Non si occupi di me…Vengo per l’inchiesta…E’ una vicina?-.

La donna, il cui ventre sporgeva sotto il grembiule, rispose:

- Sono Marie Lacore, la moglie del fabbro…-.

Fu scorgendo una lampada a petrolio appesa al soffitto, che Maigret si accorse della mancanza di elettricità.

La seconda stanza, dove entrò senza essere invitato, era talmente scura che si era contenti di trovarvi le fiamme di un fuoco a legna. Fu a quel chiarore che Maigret vide un letto dai numerosi materassi, con un piumino rosso, gonfio come un pallone e, in quel letto, una vecchia immobile, col viso duro e pallido in cui soltanto gli occhi sembravano aver vita.

- Non parla ancora?-, domandò Maigret a Marie Lacore.

La donna fece cenno di no e il commissario alzò le spalle, sedette su una sedia impagliata e prese di tasca dei documenti.

L’avvenimento, che risaliva a cinque giorni prima, non aveva in sé niente di sensazionale. Le sorelle Potru, che vivevano sole nella casupola, avevano fama di benestanti. Erano proprietarie di altre tre case del paese e avevano una solida reputazione di avarizia. La notte dal venerdì  al sabato ad alcuni vicini era parso di aver sentito dei rumori, ma non se ne erano preoccupati. Sabato all’alba, un contadino, passando, aveva visto la finestra della stanza spalancata, si era avvicinato e aveva chiamato aiuto.

Vicino alla finestra, Amèlie Potru, in camicia da notte, era immersa in un lago di sangue. Sul letto, con la faccia voltata verso il muro, sua sorella Margherite era morta, il petto trapassato da tre coltellate, la guancia destra squarciata e l’occhio a metà spaccato.

Amèlie, invece, viveva. Era stata lei a tentare di dare l’allarme aprendo la finestra per poi cadere a terra, indebolita dalla perdita di sangue. Nessuna delle sue undici ferite era grave e quasi tutte interessavano la spalla e il fianco destro. Il secondo cassetto del comò era aperto, la biancheria sparpagliata e su questa biancheria fu trovata una vecchia borsa di cuoio ammuffito in cui le due sorelle dovevano aver l’abitudine di chiudere i loro documenti. A terra, un libretto della Cassa di Risparmio, alcuni contratti di affitto e delle fatture di fornitori.

Orlèans aveva svolto l’inchiesta. Maigret era in possesso non soltanto di una pianta dettagliata dei luoghi, ma di fotografie e del verbale degli interrogatori.

La sorella morta, Margherite, era stata sepolta due giorni dopo. Quanto a Amèlie, quando si era parlato di portarla all’ospedale, si era dibattuta ferocemente, aggrappandosi con le unghie ai lenzuoli del letto, ordinando con lo sguardo che la lasciassero in casa sua.

Il medico legale affermava che nessun organo era colpito, il mutismo doveva perciò essere di origine traumatica. Erano cinque giorni che nessun suono usciva dalle sue labbra, che stava là osservando, malgrado l’immobilità e le bende, tutto quello che accadeva intorno a lei. E anche adesso non staccava lo sguardo da Maigret.

Tre ore dopo l’inchiesta del tribunale d’Orlèans, era stato arrestato un uomo che tutto faceva credere fosse l’assassino. Era Marcel, figlio naturale della sorella che era morta.

Infatti a ventitré anni, aveva avuto un figlio che adesso ne aveva trentanove e che dopo essere stato guardiacaccia presso il duca, come tutti dicevano in paese, lavorava come taglialegna nella foresta e abitava in una fattoria in rovina a dieci chilometri di lì, vicino allo stagno del Loup-Pendu.

Maigret era andato a trovarlo in prigione. Era un bruto in tutta l’eccezione della parola e a più riprese era sparito per settimane senza dare segno di vita a sua moglie e ai suoi cinque figli che nutriva soprattutto di botte. Un ubriacone per di più, un essere tarato.

Maigret volle rileggere il resoconto che Marcel gli aveva fatto di quella famosa serata, nell’atmosfera in cui essa si era svolta:

Sono arrivato in bicicletta verso le sette, mentre – le donne- stavano per mettersi a tavola. Ho bevuto un bicchiere al banco, poi sono andato ad ammazzare un coniglio nel cortile, l’ho spellato e mia madre l’ha fatto cuocere. Come sempre, mia zia ha brontolato, dato che non mi ha mai potuto soffrire…

La gente del paese confermava che Marcel aveva l’abitudine di andare così, a fare bisboccia, in casa di sua madre che non osava rifiutargli niente e di sua zia che aveva paura di lui.

- C’è stata un’altra lite perché ho preso una forma di formaggio nel negozio e l’ho aperta…-.

- Che vino ha bevuto?-, insisté Maigret.

- Quello del negozio…-.

- Come eravate illuminati?-.

- Dalla lampada a petrolio…Dopo aver mangiato, mia madre che aveva i suoi dolori si è messa a letto e mi ha chiesto di prendere le sue carte nel secondo cassetto del comò. Mi ha dato la chiave. Mi sono avvicinato a lei con le carte e abbiamo fatto il conto delle fatture, poiché era la fine del mese…-.

- Che altro c’era nella borsa?-.

- Dei titoli…Rendita e obbligazioni, un grosso pacco, per trentamila franchi e più…-.

- Non è andato nella rimessa? non ha acceso la candela?-.

- Nemmeno per sogno…Alle nove e mezzo ho rimesso le carte nel cassetto e me ne sono andato…Ho bevuto un altro bicchiere passando per il negozio…Se le raccontano che ho ucciso le due vecchie, le dicono delle menzogne…Farebbe meglio a interrogare lo jugoslavo…-.

Con grande meraviglia dell’avvocato di Marcel, Maigret non insistè nemmeno. Quando a Yarko che chiamavano più spesso lo Jugò, perché era jugoslavo, era un altro fenomeno che era capitato in paese dopo la guerra e c’era rimasto vivendo solo in un’ala della casa vicina ed esercitando la professione di carrettiere nella foresta.

Era anche un ubriacone che negli ultimi tempi le sorelle Potru si erano rifiutate di servire, perché doveva loro già troppo denaro. Una volta Marcel, che era presente, si era incaricato di mettere lo Jugò alla porta e gli aveva fatto sanguinare il naso.

Le signorine Potru lo detestavano anche perché  gli avevano affittato una vecchia stalla, in fondo al cortile, dove teneva i suoi cavalli e di cui non pagava il mensile. Lo Jugò, a quell’ora stava certamente caricando sul carro degli alberi nella foresta.

E Maigret con le sue carte in mano seguiva la sua idea, si avvicinava al camino dove, la mattina in cui era stato scoperto il delitto, si era trovato un coltello da cucina tra la cenere, col manico completamente bruciato. Evidentemente l’arma che era stata usata e il fuoco non permetteva di rilevarne le impronte.

Invece, sul cassetto del comò e sulla borsa di cuoio, le impronte di Marcel, e soltanto le sue, erano numerose.

Sul candeliere che era stato trovato sulla tavole, c’erano soltanto impronte di Amèlie Potru, che seguiva sempre Maigret con lo sguardo gelido.

- Suppongo che non voglia ancora decidersi a parlare?-, brontolò, accendendo la pipa.

E si chinò per segnare sul pavimento col gesso le tracce di sangue riportate sulla sua pianta.

- Si trattiene qualche minuto?-, gli domandò Marie Lacore. – Potrei andare a mettere sul fuoco la cena…-.

Così il commissario restò solo in casa con la vecchia. Era la sua prima visita, tuttavia, aveva già lavorato una giornata e una notte sul dossier e sulla pianta. Orlèans aveva fatto le cose tanto bene che non aveva la minima sorpresa, se non quella penosa di trovare la realtà ancora più sordida di quanto avesse immaginato.

Eppure era figlio di contadini! Sapeva che certe frazioni di paese vivono ancora oggi come nel tredicesimo o quattordicesimo secolo. Ma trovarsi all’improvviso immerso in quel villaggio nella foresta, in quella casa, in quella stanza, vicino a quella donna ferita di cui indovinava la mente vigile, lo colpiva come lo avrebbe colpito un a visita in uno di quegli ospedali o ospizi in cui si nascondono le peggiori mostruosità umane.

Fin dall’inizio del suo lavoro, a Parigi, aveva annotato qualche riflessione in margine al rapporto:

1. Perché Marcel avrebbe bruciato il coltello senza preoccuparsi delle impronte lasciate sul mobile e sulla borsa?

2. Perché, se si è servito della candela, l’ha riportata nella stanza e l’ha spenta?

3. Perché le tracce di sangue non formano una linea dritta dal letto alla finestra?

4. Perché, col rischio di essere riconosciuto lasciando la casa alle nove e mezzo, Marcel è uscito dalla porta sulla strada invece che dalla porta del cortile, che dà sulla campagna?

C’era, d’altronde, un elemento che scoraggiava l’avvocato di Marcel: nel letto stesso delle due signorine era stato trovato un bottone della sua giacca, una vecchia giacca da caccia di velluto a coste, ornata di bottoni caratteristici.

- E’ stato spellando il coniglio che ho urtato contro il letto e ho perduto un bottone-, sosteneva Marcel.

Maigret, che aveva riletto le sue note, si alzò e guardò Amèlie con uno strano sorriso perché le avrebbe fatto rabbia non poterlo seguire con gli occhi. Difatti aprì la porta della rimessa, trovò uno stanzino appena illuminato da un abbaino, della cataste di legna e, a sinistra, contro il muro, le famose botti.

Le due prime erano piene, l’una di vino rosso, l’altra di bianco. Le altre due erano vuote, e su di una gli specialisti della Scientifica avevano rilevato delle lacrime di cera che appartenevano alla candela trovata nella camera. Nel suo rapporto, il commissario speciale di Orlèans diceva:

…E’ probabile che queste tracce siano state lasciate da Marcel quando è andato a bere…Sua moglie ammette che quando è tornato a casa era completamente ubriaco, e le tracce a zig zag della sua bicicletta sulla strada lo confermavano…

Maigret cercò intorno a sé qualcosa che non trovò, tornò nella camera, aprì la finestra, non vide che due ragazzini che osservavano la casa.

- Senti piccolo, vuoi andarmi a cercare una sega?-.

- Una sega da legna?-.

Dietro di lui c’era sempre quel viso esangue, quelle pupille che si muovevano nello stesso istante in cui si muoveva la grossa figura di Maigret.

Il bambino tornò con due seghe di forma diversa. In quel momento tornò Marie Lacore.

- L’ho fatta aspettare?...Ho lasciato il piccolo a casa…Adesso bisogna che lo pulisca…-

- Aspetti ancora qualche minuto….-.

- Intanto vado a mettere l’acqua a scaldare…-.

Sì Maigret preferiva abbandonare quella scena. Ne aveva abbastanza così. Entrò nella rimessa, e osservando la botte con le lacrime di cera, vi introdusse la sega e cominciò il suo lavoro.

Sapeva cosa avrebbe scoperto. Era sicuro di sé. Se ancora il mattino poteva aver avuto qualche dubbio, l’atmosfera della casa l’aveva confermato nella sua idea.

E Amèlie Potru era proprio quella che si aspettava di trovare!

I muri trasudavano non solo avarizia, ma odio! E entrando, il commissario non aveva visto una pila di giornali sul banco? Era una cosa molto importante e i rapporti omettevano di segnalarla: le signorine Potru vendevano giornali! Amèlie possedeva degli occhiali e non li portava durante il giorno: dunque ne aveva bisogno per leggere! Dunque leggeva….

E il più grande ostacolo alla teoria del commissario spariva di colpo.

Una teoria basata sull’odio, l’odio inasprito nel corso di lunghi anni insieme, di vita in comune in quella casa stretta; di notti nello stesso letto e di interessi simili…

Margherite aveva avuto un bambino, aveva conosciuto l’amore, mentre la sorella maggiore non aveva avuto nemmeno quella gioia! Per quindici o venti anni il ragazzo era attaccato alle loro gonne poi, lasciato a se stesso, era tornato spesso e sempre per mangiare, per bere, per chiedere denaro.

Denaro che apparteneva tanto a Amèlie, che a Margherite! Anche di più, perché lei era la maggiore e quindi aveva lavorato più a lungo per guadagnarlo!

Un odio attizzato dai mille incidenti della vita quotidiana, come quel coniglio che si ammazzava per Marcel, quel formaggio che era là per essere venduto e che egli cominciava cinicamente senza che la madre di opponesse…

Sì, Amèlie leggeva i giornali: doveva divorare il resoconto dei processi e conosceva perciò l’importanza delle impronte digitali!

Amèlie aveva paura del nipote. Non perdonava a sua sorella di avergli fatto vedere il nascondiglio in cui si trovava il loro denaro e, come era successo la sera del dramma, di aver lasciato che le mani di Marcel roccassero quei titoli che egli doveva desiderare fortemente.

- Un giorno, verrà ad assassinarci…-.

Maigret avrebbe giurato che quella frase era stata pronunciata molte volte in casa. Seguitava a segare. Aveva clado e si tolse il cappello e il cappotto che posò sulla botte vicina. Il coniglio, il formaggio… poi all’improvviso quel pensione che Marcel aveva messo da solo le sue imprente digitali sul cassetto del comò e sulla borsa di cuoio ammuffito…se ancora non fosse bastato c’era quel bottone che gli era caduto dalla giacca e che sua madre, già coricata, non poteva cucirgli.

Ma, se Marcel aveva ucciso, perché mai avrebbe tolto il contenuto della borsa sul posto invece che portare via tutto? Lo stesso, e a maggior ragione, si poteva dire per Yarko che, Maigret ne era certo, non sapeva leggere.

Le ferite di Amèlie tutte sul lato destro, troppo numerose, troppo poco profonde, erano state il punto di partenza…Maigret l’aveva immaginata goffa e vile di fronte al dolore…non voleva morire, né soffrire a lungo e contava di dare l’allarme ai vicini aprendo la finestra e gridando…

Un assassino le avrebbe lasciato il tempo di correre alla finestra? La sorte si era beffata di lei facendola svenire prima che qualcuno si preoccupasse delle sue grida e lasciandola senza cure tutta la notte!

Era così! Le cose non potevano essere andate che così.Aveva ucciso la sorella mezza addormentata, poi, con la mano certamente ricoperta da uno straccio, aveva aperto il comò, aveva vuotato la borsa perché per far accusare Marcel bisognava che il denaro fosse scomparso!

Questa era la ragione della candela…

Dopo di che, sull’orlo del letto si era ferita in maniera incerta, timida, poi, come provano le tracce di sangue, era andata verso il focolare per cancellare le impronte bruciando il coltello!

Poi aveva raggiunto la finestra e….

Maigret, che aveva finito il suo lavoro, si voltò bruscamente. Gli arrivavano delle voci e come il rumore di una lotta. Vide la porta aprirsi poi, nel vano, si disegnò una figura ad un tempo bizzarra e sinistra, quella di Amèlie Potru vestita di una strana gonnellina, di una camicia, le braccia e il busto coperti di bende, lo sguardo fisso mentre, dietro di lei, Marie Lacore protestata contro quell’imprudenza.

Ebbene! Maigret non trovò il coraggio di parlare. Preferì finire il suo lavoro e quando infine la botte si spaccò in due non ebbe nemmeno un sospiro di contentezza scoprendo dei rotoli di carta che erano naturalmente i titoli di rendita e le obbligazioni che erano stati introdotti attraverso una fessura della botte.

Avrebbe voluto andarsene subito o, come un qualunque Marcel, andare a bere una gran sorsata di rum.

Amèlie seguitava a tacere. Aveva la bocca socchiusa. Se fosse svenuta sarebbe caduta fra le braccia di Marie Lacore che era meno forte e più fragile a causa del suo stato.

Tanto peggio! Era una scena di un’altra età, di un altro mondo. Maigret si impadronì dei titoli, avanzò verso Amèlie che indietreggiava, posò infine le carte sulla tavola della stanza.

- Vada a chiamarmi il sindaco…-, disse con voce secca, perché gli si stringeva la gola, a Marie Lacore: - Mi servirà da testimone…-.

E, rivolto ad Amèlie:

- Sarà meglio che si corichi…-

Nonostante la sua curiosità professionale e benché fosse incallito, preferì non guardarla. Sentì soltanto scricchiolare le molle del letto. Rimase là, con le spalle voltate, fino all’arrivo di un fattore che era sindaco del villaggio e che non osava entrare.

Non c’era telefono. Si dovette mandare un uomo in bicicletta a Vitry-aux-Loges. I gendarmi arrivarono quasi insieme al camioncino del macellaio.

Il cielo era sempre così bianco e il vento agitava gli alberi.

- Ha trovato qualcosa?-.

Rispose evasivamente, senza gioia, eppure sapeva già che quel caso sarebbe stato oggetto di lunghi studi per gli archivi criminali, non soltanto di Parigi ma di Londra, di Berlino, di Vienna e perfino di New York.

A guardarlo, si sarebbe giurato che fosse ubriaco!